Pagina:Parabosco, Girolamo – Novellieri minori del Cinquecento, 1912 – BEIC 1887777.djvu/88

lui, che ornai per natura e per ragione si doveva rimovere da cotale uso; dimostrandogli apertamente costei aggirarlo e fargli vezzi talora per aprirli la borsa e non per voglia ch’ella s’avesse ch’egli amante le fusse, questo facendoli toccare con mano col nominarli infiniti che per uno scuto, senza altra servitú farle, se ne aveano tratto la voglia. Ma il buon uomo, di questo facendosi beffe, pure seguia e, ognora piú mostrandosi acceso, le faceva doni e presenti. Era similmente questo servo giá di costei stato amante, senza averne però mai potuto aver altro che parole e sguardi, peroché la borsa non aveva ferrata. E piú volte aveva giá tentato per via di uno certo Nebbia negromante, al quale egli prestava assai fede, farlasi piacevole; ma nulla gli era successo in bene. E aveva però con il detto negromante speso qualche soldarello, e fatto, oltre a questo, infinite fatiche e sopportato infiniti stenti, ora dimorando la notte al freddo aere sereno, dicendo alcune parole nell’orecchio a mona Luna, che insegnato le aveva il negromante, e in mille altri modi. Pure non troppo tempo era scorso ch’egli come tristo s’era ravvisto e della melensaggine sua a prestar fede a simili fole, e della tristizia di quel manigoldo, che si gran cose gli prometteva, sempre ingannandolo e poi iscusandosi con dire o che egli non aveva appuntatamente detto le parole, o che troppo tardi o troppo per tempo ci era ito, e con mille altre favole che sogliono questi tali aver in pronto per iscusa loro. Pensossi costui voler, s’egli poteva mai, ad un tratto caricarla al padrone e renderla al negromante doppia. Laonde, avendo ben prima divisato fra sé come far doveva perché ogni suo pensiero avesse effetto, ritrovò maestro Nebbia; e, fingendo essersi accorto, come veramente egli s’era, benché tardi fosse stato, degli inganni che gli erano stati usati da lui, cosi disse: — Maestro Nebbia, io come amante non lasciai cosa a fare per ottenere il mio intento con cui sapete; ma non fu però ch’io prestassi giamai ferma fede né a voi né a’ vostri caratteri né a’ vostri scongiuri; né, perché voi mi faceste veder parlar teste di morti, mai vi volsi creder certo cosa alcuna che mi diceste, e so che ogni cosa era fatta ad inganno e per