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tentare. Aveva, come si è detto, Timocare la notte vegnente da finir la sua vita; quando, subito che incominciò ad imbrunir la sera e che le tenebre giá avean cacciato la luce della terra, si vesti Arsinoe di panni bruni, quali a cotal tempo si ricchiedevano a lei, e, copertasi con un velo il capo, se n’usci fuori di casa sola e verso la prigione, dove stava il marito rinchiuso, s’aviò. E doppo che quivi fu giunta, tratta in disparte una delle guardie, le richiese, amaramente piangendo, scoprendosi prima chi essa era, che si contentasse, posciaché il marito era stato quella notte condannato a morte, di lasciarla nella prigione entrare, accioché innanzi che egli morisse lo potesse vedere, e di lei le ultime lagrime e gli abbracciamenti a lui fussero concedute. Ora, scorgendo le guardie costei essere la moglie di Timocare, si per essere Arsinoe di bruno vestita, come per l’angoscioso pianto in che la vedevano, vinte da compassione del suo rammarico, dentro la prigione al marito la misero. Arsinoe, poiché si vide essere col marito, non curò, come il piú delle femine fanno, di mostrargli con romore e con lagrime la sua doglia, ma, invece di feminili strida, di lamenti e rammarichi, lo cominciò benignamente a confortare, dicendogli che stesse di buon animo. E, communicatogli tutto quello che intendeva di fare, doppo alquanto spazio, vestito de’ suoi panni il marito e cangiati i suoi in quelli di lui, copertogli bene col velo il capo, ne lo mandò della prigione fuori, e in iscambio di lui essa dentro rimase. Le guardie, che nulla di ciò sospettavano, credendo lui esser la moglie, lo lasciarono andare. E cosi Timocare si fuggi quella notte fuori della terra con la vita salva. Ma, venuta la ora che doveva il carnefice farlo morire, entrò nella prigione con le guardie insieme; ove invece di lui trovarono la moglie, de’ suoi panni travestita, e cosi ingannati e scherniti rimasero. Per che, venuto il giorno, rapportarono il fatto al prencipe, e davanti a lui menarono Arsinoe: a cui con grande orgoglio e fiero volto dimandando il tiranno come fusse’ stata si ardita, che, contra il suo volere e in dispregio della data sentenza, avesse dalla sua podestá liberato Timocare e lui fatto fuggire, ingannando le guardie; Arsinoe, molte e pietose lagrime spargendo,