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io fui mosso, vedendoti appresso il re della perdita della tua vita in dubbio e in si periglioso partito: e tanto piú ch’io mi adoperai a tuo beneficio con altrui, che tu lo puoi fare con te medesimo. E se di me, sovra di cui altra cagione non hai, vuoi forse per cupidigia di danari divenire micidiale, perdona, ti prego, alla mia vita, e pigliati in casa mia di quelle facoltá che mi ha la fortuna concesse, posciaché, uccidendomi ancora, né piú né meno cerchi di avere. Che trionfo, qual gloria ne riporterai tu di avere uno alla foresta disarmato ucciso? Quello, ch’io nella vita d’un mio nimico adoperai, fu con ragione, essendone da tanti oltraggi e ingiurie stato da lui provocato piú volte; il che egli di me medesimo fatto avrebbe, se Iddio, giusto ragguardatore delle cose umane, non avesse dal canto mio la ragion conosciuta. Non volere adunque, o Piero, nella persona di chi non ti offese mai incrudelire, né bruttarti le mani nel sangue di colui, il quale la tua vita, che a si manifesto pericolo soggiaceva, ha liberata. — Aveva Giovanni queste parole dette, quando Piero, che tutte attentissimamente le avea raccolte e soprastando ascoltate, da niuna pietá tirato, anzi stando nella sua acerba crudeltá e nel suo proponimento fermo, secondo il suo reo e duro pensiero, mise senza indugio in opera lo scelerato effetto. Per che, senza altra risposta fargli, fieramente divenuto fellone, dandogli con la spada sovra il collo un gran colpo e in molte parti della persona ancora, non restò di ferirlo finché non lo ebbe ucciso; e, spiccatagli dal busto la testa, quanto piú tosto potè, se ne tornò in Lisbona alla corte. Dove, presentato al re di Giovanni il capo, si guadagnò la taglia; né mai venne allo scelerato a memoria che la testa, ch’egli portava, era quella che dal sospetto del re lo avea prima difeso, e che a colui la vita avea tolta, dal quale era la sua stata salvata. Chi potrebbe giamai abastanza con la lingua isprimere o biasimare una tanta e si abominevole ingratitudine?