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A VENI MENTO XIX

Cambise, re de’ persi, fa scorticare un suo giudice corrotto per danari; e, ponendo un suo figliuolo in suo luogo, fa attaccar su la sedia la pelle del padre.

Mentre ch’io, carissimi compagni, era col pensiero vólto ai passati ragionamenti vostri, il giorno davanti fatti della giustizia e delle cose dirittamente da due giusti prencipi adoperate per mantenerla, essi mi han fatto da capo alla memoria tornare in che modo e con che severitá un altro prencipe un suo ministro d’ingiustizia gastigasse. II che accioché io non dimentichi, e perché non istinto che soverchio fia il raccontarlo vi, quello, come bellissimo essempio, vi proporrò davanti.

Secondo che si legge nelle antiche istorie, Cambise, re de’ persi, ebbe a’ suoi tempi un giudice a lui carissimo, nominato Sisamne, il quale egli teneva per rendere ragione a’ suoi popoli e a cui bisogno ne avesse. Ora avenne che, trattandosi davanti Sisamne una certa differenza d’alcuni, e stando in dubbio, quegli che il torto avea, di non perdere, quando volesse il giudice giustamente procedere, avendo sovra di ciò molte cose divisate seco, imaginò, dove gli potesse venir fatto, di corrompere con buona quantitá di danari Sisamne. E cosi, empiutegli nascosamente di danari le mani, si fattamente col giudice seppe operare, che egli, contra ogni ragione e giustizia, diede in suo favore la sentenzia. Di che essendosi lo avversario turbato e molto ramaricandosene, ebbe tal mezo, che gli venne a notizia la cagione del fatto. La quale avendo intesa, e di ciò sdegno prendendo e con cruccio tribolandosi, andò davanti al re, e ivi cominciò a fare della ricevuta ingiuria una grave querimonia. Per che, avendo il re il torto e corrotto giudicio del suo ministro inteso, con l’animo pieno di rabbiosa ira, vedendo che Sisamne non avea dirittamente fatto l’ufficio suo, a tempo che ei voleva del luogo, ove tenea ragione, uscire, l’impeto del suo