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usata, non giá in altrui, ma in se medesimo, accioché quella dapoi avesse luoco negli altri.

Ragionasi che Caronda, prencipe di Tiro, scorgendo che il suo popolo era spesse fiate nei parlamenti publici tumultuoso, e che da questo cotale tumulto tuttodí nascevano mille risse, quistioni e omicidii, egli, per ovviare agli scandoli e a molte sedizioni che surgevano da ciò nel popolo, publicò una legge: che chiunque con l’arme ne’ parlamenti publici entrasse, a pena capitale s’intendesse essere caduto. La qual cosa, si come era nuova, e tumultuoso il popolo, cosi ad ognuno ugualmente spiaceva. Avenne adunque che, ivi a picciol tempo, il prencipe usci fuori della cittá ad un suo luogo alquanto lontano, donde poi ritornando, e sentendo come quel di si aveva a ragunare a parlamento il popolo, per isciagura si dimenticò di por giú l’arme; onde cosi come egli era, senza di ciò accorgersene punto, se n’andò al parlamento. La qual cosa essendo subito da’ circostanti notata, si levò tra loro un certo mormorio; per che, essendo di ciò subito il prencipe da uno, ch’a canto gli era, fatto accorto, in publico, che tutti udirono, cosi gli fu detto:

— Come vuoi, o signore, che siamo noi a quella legge astretti che tu non osservi? — Le quai parole avendo Caronda intese, e parendogli di essere convenevolmente morso d’aver trappassata la legge, con alta voce parlando, in questa guisa rispose:

— Io, che sono stato l’ordinatore della legge, e che a questo fine nella vostra cittá la introdussi, accioché fusse da ciascuno osservata, gran torto farei alla giustizia s’io non seguissi in ciò la mia intenzione. Perché, posciaché io ne fui il legislatore e per mia sciagura ancora il primo violatore, io con l’essempio proprio di me stesso intendo di confermarla e approvarla a voi, accioché alcuno da me di rompere le leggi non impari. — Non ebbe si tosto il giusto prencipe queste parole finite, che incontanente, tratta fuori quella arme ch’egli aveva a canto, con le sue mani proprie si uccise. Vergognasi adunque per lo costui essempio quei prencipi d’oggidi, i quali non vivono nelle loro cittá sotto leggi, avendo la sua volontá invece di quelle, o quelli che, ordinandole, non le ordinano per se stessi.