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AVENIMENTO XI


A Giovanni re d’Ungheria è rubato da un cameriere uno anello. Egli ne incolpa un pittore, il quale, da’ tormenti costretto a confessare il furto, è condannato alla morte. Dalla quale come innocente liberato e il cameriere confessando il furto, è dal re licenziato, donandogli il medesimo anello.

Avendo giá messer Camillo con si bello avenimento il suo dover fornito, ed essendosi il tenero e leale amore e costante animo di Agilulfo da piú di loro lodato, piacque a messer Emilio che messer Muzio ragionando seguisse. 11 quale in cotal guisa incominciò, dicendo:

Quanto ci stringa gli animi lo amare affettuosamente altrui e a qual partito talora gli uomini conduca, dal generoso atto di Agilulfo scorgere di leggieri il possiamo; il quale anzi vòlse con la vendetta del suo signore morire che, a lui sopravivendo, piagnere la sua morte. Ma io, poiché caduto s’è sul ragionare di servi, intendo farvi vedere la benigna e mansueta natura di un re nella offesa dimostrata d’un servo; la quale, paragonata con la moderazione dell’animo di Roberto nel vendicare del figliuolo la morte, tanto piú di maraviglia e di loda fia degna riputata da voi, quanto che è maggior cosa che un prencipe e un signore, a cui è piena autoritá concessa di adempire ogni sua voglia sovra un suo soggetto, essendo tuttavia da questo offeso, per propria virtú se 11 ’astegna, che quegli che, questa libertá ricevendo da altrui e per modestia non usandola, lascia esso stesso quello di mandare ad effetto, che egli sa che colui, il quale cotal libertá gli donava, né piú né meno ne sia per fare. Oltre che, vi fia aperto da costui non solamente il fattore della ingiuria non essere stato con odio perseguito e vendetta, ma con una natia liberalitá da lui piú tosto magnificamente e contra di quel ch’ei meritava premiato. 11 che non dubito che non vi abbia da essere caro ad ascoltare.

G. Parabosco, Opere varie.

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