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di re di potenti popoli, umili e vilissimi vassalli de’ barbari? — Con tai parole verso Rinieri si lamentava Guiscardo, la conimune loro miseria ed estrema fortuna dimostrandogli. Onde amendue gli infelici re, da soverchio dolore aggravati, piangevano e si ramaricavano; quando, posciaché furono molti giorni passati, i mori, che nel lor potere avevano questi re, e quelli con guardie in prigione tenevano, avisarono che, per essere costoro gran personaggi, da loro buona quantitá di danari per taglia trarre potessero. Mandò adunque un certo capo dei mori, nominato Monsor, a fargli avisati qualmente avevano loro imposta taglia di centomila fiorini, se uscire di servitú volessero. Onde Rinieri, che era signore ricchissimo e bramoso di uscire dalle mani de’ mori, temendo, se quivi lungamente dimorasse, non ne seguisse a lui e al compagno impetuosa morte, e parendogli che Iddio gli avesse piú lieta fortuna mandata innanzi, disse a Guiscardo che intendeva, per libertá commune e iscampo ancora della vita, di andarsene fino in Sicilia e i centomila fiorini riportare per lo riscatto d’ambedue. Di che mostrandosi tribolato Guiscardo e diffidandosi, con dire che non era sicuro che egli d’indi partendo dovesse piú cn centomila fiorini ritornare, a lui Rinieri in questa maniera rispose: — Non saprei giudicare veramente, Guiscardo, quale di questi due affetti abbia da essere superiore nell’animo mio: o l’obligo ch’io ti debbo tenere per l’aiuto prestatomi con tuo danno, o lo sdegno ch’io nuovamente prendo della poca fidanza che in me ti vedo avere; percioché non voglio ramemorare i benefici altre volte ricevuti da te, non la rovina tua nella quale per mia cagione in questi luoghi barbari e sconosciuti sei incorso, non il pericolo della vita in che ora per me miseramente ti trovi, perché sono tutte queste cose sofficienti a partorire nell’animo gratitudine, movere ogni cuor duro e ammollire ogni asprezza d’un uomo, quantunque piú crudele fusse di ogni altra fiera, e di latte di tigre, overo di quale altro è piú feroce animale, nodrito. Tutte queste cose trappasso, e vengo ad una solamente, che è la fede, la quale se osservano spesse volte i corsali, se a noi osserveranno questi barbari e nimici nostri, io, che tuo amico sono, confederato