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E allor l’anima è vinta

da tanto ben, ch’io provo il paradiso,

che inferno mi saria senza il tuo viso.

- Deh ! caro e dolce a’ miei pensieri oggetto soggiunge e poscia,—di’s’unqua ti venne pietá di quel dolore eh io soffersi per te via piú maggiore; di’chi morte piú cruda fra noi giamai sostenne? —

Ella risponde poi : — Dolce diletto, dolce mia gioia, in ciò vagliami il vero; i’ non fu’ mai (e che tu ’l creda spero) per te di pietá nuda; e quel dolor, ch’aver mostravi espresso, gusta ilo anch’io con altretanto appresso.

Perché talor — dic’ei—questi occhi bei, da la cui pace nasce ogni mio bene, come crudi guerrieri volgevi a me si disdegnosi e fieri?

Che mi rispondi? — Ed ella:

— Né ti tolser la spene

de lo amor mio, né mai sdegnosi o rei questi occhi furo a te, se ti ramenti, ma a la salute tua sempre piú intenti.

E, se talor rubella

vista di lor ti fu, fu per celare

quel ch’altri (e tu noi sai) potea mirare.

Ma tu perché, crudel (ch’ancora duoimi), farmi, se in te d’amor scintilla vive, viver tanti di senza la tua si cara a me dolce presenza?

S’io vissi, aimè! dogliosa, d’Adria lo san le rive, mille fiate velenose e colme

fatte da l’onda del mio estremo pianto, per tua cagion, crudel, si amaro e tanto: e fu mirabil cosa

s’ambi non fúr questi dolenti lumi, se non in mari, almen conversi in fiumi.

— Deh! non rinovellar quel che m’ancise