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Né impetrar tanto vo’ da la mia stella ch’a vmi, ingrata, di me punto doglia, o mi siate men cruda o inen rubella.

Ma priego sol che tal sia la mia doglia, nel partir questo spirto afflitto e stanco, ch’appagar possa a pien la vostra voglia.

Né voglio che si dica o scriva manco che voi siate cagion di si rea sorte, ma voglio anzi un sepolcro bello e bianco.

Sol un tormento è che mi affligge forte e m’apporta passion troppo infinita: che morirete voi de la mia morte.

Che di quest’aspra mia dura partita tal n’avrete piacer, che manco assai per altro tempo ha tratto altrui di vita.

E, se ciò non avvien, com’avra mai vita quell’aspro e disdegnoso core, che vive sol de’ miei tormenti e guai?

Ma faccia pur di ine sua voglia Amore, purché, per far vendetta unqua del mio, di voi non faccia poi strazio maggiore.

Giá lo spirto doglioso e mesto invio verso l’inferno, ov’è dannato e solo perché fe’ voi suo nume, idolo e dio.

Né teme andar lá giú fra ’l basso stuolo, ché in piú misero inferno è stato ognora; tale è stata di lui la fiamma e ’l duolo.

Né d’amarvi, crudel, mi pento ancora.

— In questo capitolo ci sono — disse il Badovaro — di molte considerazioni, ed è pieno di molti begli effetti amorosi, apunto come poco innanzi disse messer Sperone che vogliono avere le composizioni. — Disse lo Spira: —Seguite di grazia, signor Corso, ché, secondo me, troverete molti madrigali, una canzone pastorale, con alcuni sonetti e una sestina; i quai componimenti non vi dispiaceranno. — E non — disse il Corso — un madrigale che siegue il capitolo? ch’io mi ricordo aver veduto apunto mostratomi dallo istesso autore, che fu fatto sopra un