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QUESTIONE I

— Dico adunque — incominciò il conte — che essere non può altrimenti che l’uomo nello amare, si come in tutte le altre buone parti, non avanzi di grandissima lunga la (emina. E prima, perché l’uomo sa molto meglio, per l’acutezza dello ingegno e per l’altezza dello intelletto, imaginar che nella cosa amata sieno quelle piti degne parti che possono una cosa fare piti eccellente; onde ne siegue che egli ancora piú eccellentemente ami. L’altra ragione è questa: che pure maggiore forza d’amore deve spingere e ritenere l’uomo nelle fiamme e nelle catene amorose; l’uomo, dico, che nato si truova atto a mille felici e gloriose imprese, e non solamente lascia, per amare una donna, d’immortalarsi e di farsi eternamente conoscere glorioso e felice, ma non cura d’esserne mostrato a dito, da chiunque lo conosce, per uno effeminato, da poco e con animo bassissimo al mondo nato. Vedete adunque che questi sono segni e ragioni troppo forti per dimostrarvi ch’io dico il vero. — Rispose allora il Mocenigo: — Veramente, conte, altro da voi non si può aspettare che sottigliezze e acutezze bellissime, si perché d’ingegno altissimo e sottilissimo siete, come ancora perché siete cosi grande nemico delle donne. Ma io v’aviso che converrá ben (posciaché per tale da tutti noi siete conosciuto) che v’assottigliate, se ci vorrete far credere non pure che il vostro amore avanzi il loro, ma che sia vero che una sola scintilla voi ne abbiate. — Disse allora il Badovaro: — Ogni poco d’amore, che egli m’assicura di avere verso loro, io giurerò per lui che egli si crede che sia assai piú di quello che a lui da niuna di loro portato sia; e questo, perché, essendo egli cosi generai nemico di tutte quante, io non