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diceva: — Aimè! chi mi porgerá soccorso giamai, se l’ultima prova d’ogni mia speranza ho veduta restar vana? Io sperai, misera! di morire tostoché del mio Fausto priva mi vedeva; e io non solamente ne son restata priva, ma holl 0 veduto come un vilissimo schiavo essere da vilissime genti con forte e aspra catena a’ piedi posto al remo, e per mia cagione. E ancora viva rimango! Ahi, fanciulla poco onesta e manco fortunata! quanto maggior prò e utile a te stessa e al tuo amante veniva della tua onestá, che della tua fragilitá non ha fatto! Quanto manco crudele a lui saresti stata, se fra le pene d’amore l’avesti lasciato morire ! Considera quanto e quale tormento egli ora sopporta, solamente perché tu piú amorevole di quello che alla onestá e allo stato tuo dicevole non era te gli sei dimostrata. O crudo Amore, ché non soccorri ora a’ tuoi infelici servi, essendo tu sola cagione d’ogni sua miseria? Tu non (come il volgo chiama) sei dio di pace e di concordia, ma si bene irreparabile congregatore di strabocchevoli casi e di crudi e avversi accidenti. Chi può dire avere giamai per tua cagione avuta contentezza alcuna? overaniente non avere comprato un momento di tuo piacere con un mare di lagrime, d’affanno e di tormento? — Con tai querele, tuttavia lagrimando, la bella Artemisia si doleva, aspettando d’ora in ora peggior fortuna. Fra il quale spazio la fusta, ond’ella sopra si ritrovava, a Rodi capitò; nel qual luogo il corsaro, fatto prima ricco presente de’ prigioni e de’ danari al signor che alla guardia della cittá si ritrovava, il resto in terra fece iscaricare, e poscia la prima cosa tutti schiavi, secondo l’uso turchesco, a suon di trombetta vendere. Laonde Artemisia alle mani d’un mercatante milanese pervenne, il quale, allora ritrovandosi giunto nell’isola con una nave carca di merce che alla volta di Genova se ne giva, lei comperò, credendola maschio, per trecento fiorini d’oro; e tra poco, fatto vela, a Genova con esso seco la trasse, e d’indi a Milano. E perché d’infinita bellezza e grazia la vide, a monsignor Giovan Visconte, allora duca di Milano e appresso signore dello spirituale, ne fece dono; però sempre credendo che maschio e non femina fusse. Dall’altro lato l’infelice Fausto,