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rivare ancora a vedere tutti i bei punti di vista di questo mio villaggio, che non sono pochi, e quanto soffro nel reprimere i palpiti del mio cuore e gli slanci della mia immaginazione tutte le volte che m’incontro a leggere dettagli di viaggi, descrizioni di luoghi ameni, e allora piango e gitto via il libro, poi non so darmi pace di questo triste mio stato, e di questa vita monotona e uniforme da morire. E sempre più invidio la sorte dei contadini, ai quali la loro testa non dà punto tormento come la nostra a noi, che ne fa passare tutti i giorni pieni di desiderii ardenti che non giungeranno mai a realizzarsi. Ma perchè ti vado parlando dei miei delirii, e non parlo di te, di te, mia carissima, ch’io vorrei veder lieta e felice virtù, per la quanto lo meriti per le rare tue tua bontà angelica? Oh lascia ch’io ti abbracci e ti stringa tenerissimamente al mio cuore, e questo cuore ti dica quanto mai gli sei cara, quanto mai egli ti ami.

Noi abbiamo un inverno mitissimo, direi un caro inverno, se queste due voci potessero stare insieme. Credo che non potrai dire lo stesso di costi, chè si leggono cose grosse del freddo della Spagna e di altrove. Il Cholera ci è stato vicinissimo, quasi nel nostro territorio, contiguo ad alcuni nostri poderi; pure la misericordia divina e Maria S.S. ce ne hanno preseverati, ma abbiano passato dei giorni tristi assai. Tutti di mia famiglia stanno bene, e Giacomo che si è lasciato chiudere dal cholera a Napoli forma il nostro dolore continuo. È andato in villa e viene scrivendo, ma di rado: Iddio ne aiuti! Non dubito affatto che anche tu