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sciagura che per me è una delle più grandi: leggo sempre con ansietà i fogli di Bologna, e mi ha fatto pena il vedere che, pochi giorni sono, si sentivano ancora altre scesse. Dalla carissima tua però mi pare che questo flagello non ti metta grande spavento, poichè ne fai la descrizione con una cert’aria che mostra in te un gran coraggio, coraggio ch’io certo non avrei. La tua lettera mi ha fatto destare parecchie notti con un gran palpito parendomi di sentire il terremoto, cosa che, grazie a Dio, non era punto vera.

Quando tu mi scrivevi non eri niente allegra; chè la tua lettera assomiglia un poco al Miserere: pure, non fa niente, almeno ho veduto i tuoi caratteri, ho avuto le nuove delle mie carissime amiche, sento ch’esse mi vogliono ancora bene. Non puoi credere, Nina mia, con quanta vivacità di sentimenti io desideri la felicità di quelle ch’io risguardo ed amo come mie sorelle, e però non puoi immaginarti quanto cruccio mi rechino i tuoi lamenti sulla sciagura di questi nostri tempi, nei quali più soffre chi più è virtuoso. Ed essendo così, non v’ha alcun dubbio che voi, o mie care, non dobbiate esser punto felici e fortunate in questo infame e scellerato mondo; oh certo! noi non lo saremo a meno che non rinunziamo ai nostri principi, a meno che non ci condanniamo da noi stesse a non avere più il coraggio di guardare il cielo senza arrossire. Come è stato nel passato, così sarà sempre per me oggetto di ammirazione grande e di compiacenza vivissima il trovare in voi, o dolcissime anime, quello ch’io credeva non vi fosse più su questa terra, una