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sfuggivo bene e spesso. Ma lui se mi incontrava col carrettino, voleva che salissi; se era al caffè mi costringeva a sedere e a sorbirmi una bibita, che non c’era verso di pagare.

— Voi altri professori — diceva cacciando le mani in tasca e poi facendo cadere dall’alto i soldi sul vassoio — sarete fior di letterati, ma avete una bolletta santissima!

Io sino allora non ci avevo fatto caso di queste confidenze avanzate. Mi parevano segno di animo un po’ rozzo ma affettuoso; e nella mia equanimità di uomo savio, lo compativo in segreto.

Dunque quella domenica mi disse fermandomi in mezzo al passeggio, con lo sigaro in bocca e passandomi la mano su la spalla:

— Be’, come sta Patirai?

— Chi è Patirai? — chiesi sorpreso.

— Bella! — fece lui — se non lo sai tu, chi vuoi che lo sappia? Patirai è il nome della tua cagna. Tutti la chiamano così.

— E perchè? — domandai arrossendo.

— Perchè è così magra; e poi dicono che deve patire la fame a stare con te.

— E perchè?