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avea, quanto tempo ci sarebbe voluto per attuarle.

Ed io raccontai. Raccontai quello che non era, quello che non mi sentiva, le speranze che non aveva, la fede che con uno sforzo supremo simulai con la vivacità dello sguardo e l’impeto della voce.

Ella mi ascoltava beatamente, raccolta nel suo seggiolone, con la guancia pallida appoggiata su la mano, in quel lieve tepore dei sarmenti che si sfacevano in cenere sul focolare.

— Racconta, racconta, dimmi sempre di te — interrompeva ogni tanto.

Io esponeva dei progetti inverosimili di speculazioni, di fortune improvvise, di gloria: sì, mi ricordo che ci entrava anche la gloria; e lei approvava sempre con molta serietà.

— Ogni via è buona, figlio mio, basta riuscire; e per riuscire bisogna esser forte. D’altronde io — concludeva con convinzione triste e pacata — non ti prescrivo mica la strada. Fa quello che vuoi, basta che tu riesca, che ti conquisti la tua posizione nel mondo, degna del tuo nome. Ai giovani bisogna lasciare libertà di seguire il loro genio: non dico sempre questo io, Beppo?