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ma la carrozza, dico, non era più la nostra; era un fiacre da nolo di forme preistoriche che stava su a forza di corde: il cavallo era così alto e macilento che su quella neve, col muso basso e le gambe davanti piegate, faceva un effetto spettrale. Indovinai tutto, e il cuore mi si serrò: pure non chiesi nulla a Beppo. Egli mi salutò scoprendosi, ma non disse parola; sferzò a parecchie riprese la rozza che si mosse indolente fra il cigolare delle ruote e delle molle sconquassate. Quel cavallo e quel fiacre da zingari erranti e quel servo chiuso nella livrea gentilizia offrivano un contrasto simbolico e miserevole. Un borghese democratico ne avrebbe riso a crepapelle, un filosofo di cuore avrebbe pianto. Per buona sorte non v’era alcuno per la via, e i pochi villani che si incontravano di tratto in tratto facevano largo e si arrestavano meravigliati al nostro passaggio; e da un sommesso parlare pareva si interrogassero se qualche cerretano giungesse al villaggio.

La strada bianca di neve passava lentamente. Quando su lo sfondo plumbeo di quel cielo si disegnò il profilo del palazzo di mio padre e di mia madre, il cuore mi tremò e un singulto mi