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che fossero bastanti! Poi il plebiscito, Custoza, la cessione di Venezia e in ultimo la presa di Roma, con quel re Emanuele che usciva in viva luce da l’ombra de le leggende, da la polvere de le battaglie lombarde; ed ora appariva su l’alto del settimonzio, terribile, folgorante di gloria e d’ermellino a segnare con nuove parole le pagine di una storia sorprendente.

Don Leonzio trovava incresciosa sino la luce del sole; ma G. Giacomo, non vinto da alcuna passione di parte, però fra la sorpresa e la meraviglia del succedersi di così nuovi e per lui inaspettati eventi, si accontentava di dire che se ciò avveniva era perchè Dio lo voleva; e, se era un bene, non sarebbe tardato molto ad apparire.

La luna batteva ancora su la via Flaminia e gli antichi legionari passanti con le aquile d’oro nel sogno del poema di Livio, parevano riconoscere i piumati veliti che irrompevano giù dai piani lombardi; ne salutavano le bandiere — le bandiere che le mani de le donne italiche ricamarono. La canzone del Petrarca che comincia — Italia mia, — e che G. Giacomo aveva letto come

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