Pagina:Panzini - Diario sentimentale della guerra, 1923.djvu/129


di Alfredo Panzini 123


quecentesca, sigillata più che chiusa, mi infondeva, o diffondeva all’intorno una grande tristezza.

Però solo del tutto, no.

Dove il viale si incurva per discendere giù e smarrirsi nel verde folto del bosco, stavano due figure immobili, appoggiate alla balaustra: un uomo e una donna, così in lontananza.

Una gran quiete fredda. Eppure la tempesta si avvicina. Quando nasceranno le viole, la guerra sarà arrivata forse anche qui!

Un brivido di freddo, oltre al rigido della sera.

Dietro l’altro colle dell’Osservanza — che è più verso occidente — uno squarcio di cielo rosato si veniva chiudendo, a poco a poco, come una pupilla che si rinserri. La pupilla del sole si rinchiude. Gli uomini sono abbandonati, qui, soli.

M’avvoltolai nel mantello e mi misi a camminare in fretta. «Tornerò giù a Bologna a piedi» pensai fra me.

E così passai davanti a quei due.

Non parlavano: erano lì, l’uno al conlatto dell’altra.

Lui poteva avere vent’anni appena: magro, un pastrano leggero, un’aria di miseria. Lei, una cosina fresca, molto giovine, elegante: forse bella, ma una di quelle bellezze della durata di poche primavere. Stava in contemplazione muta di lui, affissa con due pupille lattee, liquide.