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LIBRO PRIMO 89

testa dell’esercito per inoltrarci laddove meglio s’appresenterà il nostro conto».

IX. Cavado non seppe che opporre alle costui parole, nè potea diffidarne conoscendo assai bene quanto il Saraceno valesse per accortezza e pratica nell’arte guerresca, e quanta stima sovra ogni altro riscuotesse dai Persiani. Il quale con una guerra di cinquant’anni ridusse l’imperio a tristissima condizione, saccheggiandone tutte le terre dai confini dell’Egitto sin entro la Mesopotamia, dandovi alle fiamme tutti gli edifizj, e tornandone a quando a quando con ben dieci mila prigionieri, molti dei quali arbitrariamente condannava a morte, ed al resto offriva gravissimo riscatto. Ed in queste sue insidie neppure una sol fiata lasciossi cogliere dal nemico, non avendovi esempio che intraprendesse geste contro di lui senza far precedere diligenti esplorazioni: di più era sì destro e pronto nell’eseguire che uom non videlo mai di ritorno colle mani vuote. Egli è bensì vero che talora e duci e truppe romane, al tardo annunzio di qualche suo predamento, cimentaronsi a rintracciarlo colla mira di piombargli comunque addosso per via, ma il barbaro, saputolo, venne loro incontro, e sopraffattili non preparati e senz’ordine li pose in fuga, uccidendone trattanto ed a suo bell’agio molti. Riuscì eziandio in altro cimento ad imprigionare duci e truppa: erano i primi Demostrato fratello di Rufino, e Giovanni figlio di Luca, e vollervi tutte le grandissime ricchezze loro a redimerli da quella schiavitù. In breve, fu questi il nemico che desse maggior travaglio ai Romani, imperciocchè fregiato di