neti della capitale, accesi d’ira, si misero a far tumulto, alzando presso l’Imperadore su quel fatto grida e querele, e a rompere in truci minacce e in ingiurie contro Leone e Maltane. L’Imperadore simulando di prender la cosa a petto, e d’esserne gravemente dolente, con editto ordinò che si facesse processo sopra quanto Maltane avea commesso. Ma Leone con un copiosissimo sborso di denaro estinse l’ardor dell’editto e della benevolenza dell’Imperadore verso i Veneti, il quale lasciò in abbandono il processo. Venuto poi Maltane a Costantinopoli, con molta cortesia lo accolse, e l’onorò. Se non che i Veneti nell’atto che colui usciva degli appartamenti dell’Imperadore, nello stesso palazzo lo assaltarono e lo ferirono a modo, che sarebbe stato ucciso, se alcuni occultamente corrotti da Leone non vi avessero posto impedimento. E qui chi è che giustamente non chiami ben misera questa repubblica, nella quale un Imperadore si lascia per denaro indurre a non punire i misfatti; nella quale uomini facinorosi nel palazzo stesso, e sotto gli occhi di un Imperadore, con furioso impeto ardiscono metter le mani addosso ad un magistrato? Aggiungasi che tanto Maltane, quanto quelli che sì violentemente lo assaltarono, rimasero impuniti: onde può vedersi che razza d’uomo fosse Giustiniano.