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quale è collocata la tutela pubblica, più gravi riescono le loro disgrazie; e veduto non potersi sperar la vendetta dalla somma autorità aspettata, forza è che cadano finalmente in disperazione. Peccò dunque Giustiniano, io dico, non solo perchè non si diè cura delle querele degli afflitti, ma perchè in cospetto di tutti egli medesimo prestò mano alla facinorosa gioventù, e larghissimi doni le fece; e parecchi di quelli, rei di tanti, e tanto pubblici delitti, prese a’ suoi cortigiani, e molti promosse a’ magistrati, ed elevò a dignità.

E quello che succedeva in Costantinopoli, succedette pure in ogni municipio; poichè un tanto disordine in quella città incominciato, come una pestilenza invase tutto il romano Imperio, senza che l’Imperadore se ne pigliasse pensiero: nulla mosso nemmeno da ciò che vedeva egli medesimo farsi sotto i suoi occhi nel circo. Mostrossi così di prodigiosa stolidità, somigliantissimo ad un giumento da facilmente tirarsi per la cavezza, il quale altro in quel caso non fa che scuoter le orecchie. E mentre trascurava queste cose, venne a turbare tutte le altre.

E di vero, tosto ch’ebbe preso il principato dello zio, tutto il suo ingegno pose, e con nissuna dignità, a vuotare l’erario pubblico che aveva in sue mani. Prova è di ciò quanto agli Unni, che spesso venivano a lui, in ampii doni profuse, oltre le grandi spese che per essi faceva. Per questo poi le provincie romane si videro esposte alle incursioni de’ Barbari, i quali assaggiate una volta le ricchezze romane ritornavanvi, nè se ne potevano distaccare. Ebbe pur anche il capriccio di