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386 icaromenippo.

o amico mio, quando m’era fatica anche il vederle. Le principali eran come quelle che Omero descrive rappresentate sù lo scudo d’Achille: qua nozze e conviti, là tribunali ed adunanze; in un luogo si faceva sagrifizi, in un altro si piangeva un morto. Gettavo lo sguardo nella Getica, e vedeva i Geti guerreggiare; più in là sù gli Sciti, e li vedeva erranti sù le loro carrette; volgevo l’occhio un po’ dall’altra banda e miravo gli Egiziani coltivare la terra, i Fenicii trafficare, i Cilicii pirateggiare, gli Spartani farsi flagellare, gli Ateniesi piatire. Da tutte queste cose che accadevano nello stesso tempo considera tu che guazzabuglio pareva. Egli era come se uno prendesse molti coristi, o meglio molti cori, e comandasse a ciascun cantore di non badare ad accordo, ma cantare ciascuno il suo verso: gareggiando questi tra loro, seguitando ciascuno il verso suo, e volendo soverchiar la voce dell’altro, intendi tu, per Giove, che nuovo canto saria cotesto?

Amico. Cosa da cani, o Menippo, e da riderne assai.

Menippo. Ebbene, o amico mio, tutti sù la terra sono come quei coristi, di questa confusione è composta la vita umana; gli uomini non pure parlano in diverso tuono, ma vestono in diverse fogge, si muovono in diverso modo, e pensano con diversi capi, finchè il maestro che batte il tempo li scaccia ad uno ad uno dalla scena, dicendo che non bisognano più: allora tutti diventano simili, zittiscono, e non cantano più quella confusa e discorde canzona. Insomma tutte le cose svariatissime che si rappresentano sù questo gran teatro mi parevano ridicolezze: e specialmente mi facevan ridere coloro che contendono per un pezzo di terra, che superbiscono di coltivare le pianure di Sicione, o di possedere quella di Maratona presso il monte Enoe, ovvero mille iugeri in Acarnania; perchè tutta la Grecia, di lassù, non mi pareva di quattro dita, e in paragone l’Attica non era più che un punto. Onde io pensavo quanta è la parte che ne hanno i ricchi che ne menano tanta superbia: chi di essi possiede più iugeri mi pareva che coltivasse uno degli atomi di Epicuro. Gettando gli occhi sul Peloponneso, e vedendo la Cinosuria, mi ricordai quanti Argivi e Lacedemoni caddero in un sol giorno per una particella di terreno non più larga di una lenticchia d’Egitto. E se ve-