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icaromenippo. 379


Amico. Come dici? Menippo ci viene da Giove, c’è piovuto dal cielo?

Menippo. Io sì, vengo da Giove appunto adesso, ed ho udite e vedute cose inestimabili. Se nol credi, ci ho più gusto: così ho avuta una incredibile ventura.

Amico. E come, o divino e celeste Menippo, io mortale e terrestre potrei non credere ad un uomo che ha passato i nuvoli ed è, per dirla con Omero, uno degli abitatori del cielo? Ma dimmi come se’ montato lassù, e dove hai trovata una scala così lunga? Tu non mi hai il visino di quel bel frigio, sì che io possa credere che anche tu se’ stato rapito dall’aquila e fatto coppiere.

Menippo. Vedo che mi canzoni. Ma io non mi maraviglio che, dicendoti una sì nuova cosa, la ti paia una favola. Eppure per salire lassù non ho avuto bisogno nè di scale, nè di visino baciato dall’aquila; chè io ci son volato con le penne mie.

Amico. Oh! cotesta è più gran cosa di quella che fece Dedalo, ed io non sapevo che d’uomo se’ divenuto nibbio o cornacchia.

Menippo. Bene, tu quasi t’apponi, o amico. Quell’ingegno delle ali di Dedalo l’ho adoperato anch’io.

Amico. E non hai temuto, o gran temerario, di cadere in mare anche tu, e farci dire il mar Menippeo, come diciamo l’Icario?

Menippo. Niente. Perchè Icaro s’appiccò le ali con la cera, che al sole tosto si liquefece, ed ei rimasto spennacchiato dovette cadere: ma le mie brave ali non avevano cera.

Amico. Come va cotesto? Oh, tu a poco a poco mi farai creder vero ciò che mi dici.

Menippo. Ecco come. Presi una grande aquila, ed un forte avoltoio, e tagliate loro le ali.... Ma è meglio raccontarti da capo tutta questa invenzione, se vuoi udirmi.

Amico. Ben voglio. Già mi levo alto anch’io dietro al tuo discorso, e t’odo a bocca aperta. Pel Dio dell’Amicizia, comincia il racconto, non tenermi più sospeso con gli orecchi.

Menippo. Odi adunque: chè non saria un bello spettacolo lasciare un amico con la bocca aperta e sospeso dagli orec-