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Prima la teoria, poi Parte.


Certo questo gigantesco sforzo di Goethe, per fare con atto di deliberata volontà individuale in pochi anni quello che in quattro o cinque secoli il suo popolo non aveva potuto fare, porta in sè qualcosa che contrasta alla tranquilla e pacata anima classica. E Goethe soltanto riuscì a compierlo sorridendo, e non ebbe nè imitatori nè seguaci per la buona ragione che nessuno potè ripetere quello sforzo senza rivelare l’ostinazione esagerata, fastidiosa e professorale di quel proposito, — che nessuno potè ristabilire l’armonia fra quel che era prima e quel che tentava d’essere dopo, tra il tedesco e il latino, tra il medievo e il Rinascimento.

Prima e dopo Goethe tutti quei tentativi o restarono sterili o durarono poco. Peggio: creare prima la teoria e poi la pratica come fece Winckelmann per tutte le arti, come fece Lessing pel teatro, come fecero per la pittura in pieno ottocento i Puristi o Nazareni tedeschi (gli scarponi, come li chiamavano a Roma) proponendo la metodica imitazione dei predecessori di Raffaello per riuscire a dipingere come Raffaello, fu il malanno più grave di quasi tutta la critica e l’arte tedesca da allora, la prima causa della sua oscurità presuntuosa, delle sue lungaggini intollerabili. E sembrano giustificate le dure parole di Ippolito Taine: «V’è un controsenso continuo e troppo ridicolo nella storia di tutta questa letteratura: fabbricare un’arte per mezzo d’un’estetica preconcetta».