Pagina:Ojetti - L'Italia e la civiltà tedesca, Milano, Ravà, 1915.djvu/10


— 8 —


nello stesso anno raggiungevamo l’unità e alla meglio, Roma capitale, noi perchè dovevamo mettere sulla nostra chiara limpida aperta intelligenza la grave uniforme prussiana? Dobbiamo dire che non eravamo degni della libertà intellettuale perchè la libertà politica l’avevamo conquistata solo in parte per merito nostro e con le nostre forze, ma in gran parte essa ci era venuta, come ancora si vorrebbe che ci venisse pel Trentino e per l’Istria, dagli aiuti e dai doni altrui?

Ancora nel 1861 Pasquale Villari maestro di storia ma, quel che più conta, maestro d’energia e di vita stampava tra i preziosi opuscoli di propaganda nazionale editi dal Lemonnier il suo saggio sulla Civiltà latina e la civiltà germanica per affermare contro l’illusione dell’Alighieri che «la salute d’Italia nè allora nè mai poteva venire da un imperatore tedesco» e per provare che «non appena comparisce in mezzo a noi l’elemento germanico, cessano non solo le cagioni della guerra civile, ma ancora la necessità di restare sparsi e divisi: la famiglia latina sente il bisogno di raccogliersi e di costituirsi in nazione».

Ancora nel 1870 e nel 1872, nelle ultime pagine della Storia della letteratura italiana e nelle prime della Letteratura italiana del secolo XIX, Francesco de Sanctis osa iniziare quel processo agl’influssi del romanticismo straniero sulle nostre lettere che solo da pochi anni qualche giovane animoso ha, sulle sue tracce, ripreso. Diceva il De Sanctis: «Il romanticismo, in questa sua esagerazione tedesca e francese, non attecchì in Italia e giunse appena a scalfire la superficie. I pochi tentativi non valsero che a meglio accentuare la ripugnanza del genio italiano». Il genio italiano... Chi oserebbe oggi parlarne?

Subito dopo il 1870 con l’obbedienza politica dei nostri governi comincia l’obbedienza scientifica dei nostri professori, chè tutto in omaggio alla Germania fu scienza, anzi tutto fu, secondo il termine di moda, specialità, specialität. Pian piano, com’era giusto, di quello stesso timo-