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libertà 239

l’Etna. Ora dovevano spartirsi quei boschi e quei campi. Ciascuno fra di sè calcolava colle dita quello che gli sarebbe toccato di sua parte, e guardava in cagnesco il vicino. — Libertà voleva dire che doveva essercene per tutti! — Quel Nino Bestia, e quel Ramurazzo, avrebbero preteso di continuare le prepotenze dei cappelli! — Se non c’era più il perito per misurare la terra, e il notaio per metterla sulla carta, ognuno avrebbe fatto a riffa e a raffa! — E se tu ti mangi la tua parte all’osteria, dopo bisogna tornare a spartire da capo? — Ladro tu e ladro io. — Ora che c’era la libertà, chi voleva mangiare per due avrebbe avuto la sua festa come quella dei galantuomini! — Il taglialegna brandiva in aria la mano quasi ci avesse ancora la scure.

Il giorno dopo si udì che veniva a far giustizia il generale, quello che faceva tremare la gente. Si vedevano le camice rosse dei suoi soldati salire lentamente per il burrone, verso il paesetto; sarebbe bastato rotolare dall’alto delle pietre per schiacciarli tutti.