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di S. Angelo a Segno, col valore del Santo Abbate Agnello

    elementi ostili e difformi, e la venuta de’ vicerè, svigorendo ancor più l’autorità regia o centrale, e proteggendo alla celata i deboli e disarmati incontro a’ forti, raddoppiò l’anarchia ed il contrasto. In più barbari e bellicosi tempi quelle nemiche forze sarebbonsi affrontate nelle battaglie, ed allora che gli Spagnuoli favorivano le vie giuridiche per poter opprimere con minore scandalo i repugnanti, combatterono astiosamente ne’ tribunali. Duravano gl’instituti del medio evo, ma per ciò che in essi era di più guasto e ignobile, anzi avean trasmodato in abusi e in maggior viluppo: or pensate che ricca materia e che fomite ne venisse a litigi da tante e sì difformi leggi, da sì intralciati interessi, da tanti privilegi e giurisdizioni. Cresciuto così il foro, e tanto che parea che solo agitasse tutta la civil compagnia, la giurisprudenza ne acquistò tal pregio e dignità, e tale ampiezza, che neanche in Roma antica fu il simigliante. E perchè la vita ne fu tutta penetrata e investita, potrebbesi nelle altre parti di letteratura venir mostrando gli effetti di quel tanto soverchiar del foro e degli studi del dritto. Così nel marinismo e nelle letterarie dispute di que’ dì mostrasi non di rado l’acume e le sottilità forensi, e il piacersi de’ sofismi e del falso; e come nell’istoria civile, così nella scienza nuova, la ragion civile o politica domina tutto il resto. Sicchè infinite sono le opere de’ nostri giureconsulti, e spezialmente è ricchissima la parte che potrebbesi dir forense, vogliam dire le raccolte delle decisioni e delle controversie, de’ consigli e delle allegazioni. Ma per ciò appunto che la nostra giurisprudenza usciva dal foro, non dalle cattedre, e per l’isolamento in che era ciascuna parte di letteratura, ella fu pratica affatto; ma destra, sensata, sagacissima. L’erudizione e la filologia spesso ornarono le scritture de’ nostri; non però vi arrecarono alcun principio di storica interpetrazione, solo eccettuando le materie feudali e le canoniche, per cui certo la mera pratica interpetrazione non era possibile. Generalmente parlando, tale sempre si rimase la nostra giurisprudenza: se non che, verso la metà del secento, fu nella parte più eletta de’ giureconsulti un gran rinnovamento d’interpetrazione, gridato in prima da Francesco d’Andrea vivissimo lume del nostro foro per eletta dottrina e facondia, il quale, non pur con la voce, ma con l’esempio molti