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gusti passati col successore di Giustiniano, Napoli da questi

    come quella che cominciò a narrar fatti d’altrui paesi, e molto acconciamente di tempi lontani e di antichi popoli. Se non che, quegli eruditi scrissero anzi la vita e la storia de’ Principi che quella delle nazioni, e meglio che gravi storici, ornati narratori si dimostrarono. Frattanto, per tutta questa età, non mancaron cronisti ignoranti, che spesso adoperarono il dialetto patrio, ma la nobilissima lingua d’Italia fu generalmente negletta.
       Fra gli Studi i quali, non che avessero impedimento, ebbero aiuto e favore dalle morali o geografiche condizioni de’ nostri popoli, e bisogna in prima mentovar quelli delle lingue e dell’erudizione, perciocchè all’avanzamento di talune altre discipline moltissimo conferirono. Per i monasteri basiliani che tosto furono instituiti nel regno, per le tante città restate a’ Greci e per l’antica civiltà manco depressa tra noi che non fu altrove, fin da’ primi secoli della barbarie, come in Napoli così nel regno fu molta notizia di greco e di latino, ma sopratutto del greco, per non dire che intere città e province in alcun modo il parlavano, e fu bisogno di pubblicar leggi nelle due lingue. Sicchè nella seconda metà del terzodecimo secolo e nel decimoquarto quella tanta conoscenza di esse non pur durò, ma fu cresciuta dalle cagioni dette avanti: soguitossi a traslatar dal greco di molte opere, e infine si recò lo studio e l’amore delle greche lettere eziandio fuor del reame. Quì è a ricordare di Barlaamo, monaco calabrese, stato maestro al Petrarca in filosofia e in lingua greca, e di Leonzio Pilato, pur calabrese, che fu maestro al Boccaccio, traduttore di Omero e professor di greco in Firenze. Finalmente nel secolo decimcquinto, venutici prìa che nel resto d’Italia e in più gran numero i Greci fuggitivi, destarono un grande ed entusiastico amore all’antichità, come a tesoro ricchissimo che pur al fine si discoprisse. Altri studiarono attesamente gli antichi, e li tradussero e commentarono; altri in appositi trattati discorsero le costoro favole e la religione e i costumi, e compilaron grammatiche e vocabolari. Sin nelle minime cose, tutti s’ingegnarono d’imitar quelle opere, e certo fu gran danno alla spontaneità, all’inventiva, all’usato ardire degl’ingegni; ma fu necessità, poi bene grandissimo e vero avanzamento, perocchè il nuovo pensiero se ne potè ap-