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ar- ^ VITK r> KOI .1 KCCKI.I.KNT1 COMANDANTI curio, che ('rano in Atene, furono gettati a terra; toltone imo, che stava innansi la porta di Andocide. Pertanto lineato fu d’allora in poi il Mercurio d’Andocide addi- mandato. Essendo chiaro, ciò non essere stato fatto senza un accordo di molti, riguardando non l’interesse privato, ma il pubblico, fu messo nel cuore della moltitudine un u-ran timore, che qualche repentina violenza non si sollevasse nella città, che tendesse ad opprimere la liberta del popolo. E questo sospetto pareva che cadesse più fa cilmeute sopra Alcibiade, perciocché era egli stimato più potente, e maggiore di quello che ad uom privato potesse convenire. Imperciocché egli s’era guadagnati molti colle liberalità, e molti più se n’era fatti suoi, assistendoli nelle cause forensi. Dal che nasceva, che ogni qualvolta compariva in pubblico, ogni occhio era verso lui rivolto e niuno nella città era messo al suo pari: sicché non solamente avevano in esso grandissima speranza, ma il temevano parimenti, come colui che moltissimo poteva nuocere e giovare. Veniva pure infamato, dicendosi che in casa sua celebrava misteri, cosa, secondo il costume degli Ateniesi, non permessa, e questo si credeva che non avesse per iscopo la religione, ma qualche congiura. III. Sopra questo delitto pretendevano i suoi nemici che ei facesse processo. Ma era imminente il tempo di uscire in guerra. Ciò egli considerando, e ben sapendo l’uso dei suol cittadini, chiedeva, che se volevano che si fosse trattata qualche causa sopra di lui, ciò si facesse mentre egli si trovava presente, piuttosto che lasciar luogo ai malevoli di accusarlo assente. Ma i suoi nemioi determinarono di acquietarsi per allora, che sapevano di non potergli far danno, e di aspettar il tempo ch’egli fosse fuor di patria, per poterlo attaccare in assenza : e cosi ffcero. Imperciocché qualora s’immaginarono ch’egli dovesse essere in Sicilia arrivato, così .lontano lo denunziarono come violatore delle cose sacre. Sopra la qual cosa essendogli stato mandato in Sicilia un messo, acciocché se ne ritornasse in patria a far le sue difese, co- rnechè fosse in grande speranza di ben condurre l’impresa addossatagli, non volle disubbidire, e montò sulla trireme che per esso era stata mandata. Ma portato a Turi in Italia, molte cose seco rivolgendo nella mente sulla smoderata libertà de’ suoi cittadiui, e della crudeltà loro verso i nobili, stimò che il più savio partito era sfuggire l’imminente tempesta, e di nascosto sottrattosi alle guardie, primieramente in Elide, e poscia a Tebe pervenne. Ma poiché intese sè essere stato condannato a morte, e alla confisca de’ suoi beni, e come in tai casi solea accadere, essere stati i sacerdoti eumolpidi costretti dal popolo a maledirlo, e che di quella maialinone, ao-