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I BCCEIXRNTI COMAOTUHT1 che accaddero mentr’ei visse; ma di quelle ancora oh» presentemente addivengono, ne annunziò come indovino. XVIL Dell'amore d’Attlco poi verso i congiunti ohe dir di più? lo i’ho udito nella morte di sua madre, da lui sepolta di novant’anni, avendone egli settantasette, con verità gloriarsi ch’egli non aveva mai avuta l'ocoasione di riconciliarsi colla medesima, nè mai era stnto in corruccio colla sorella ch’era quasi sua coetanea. Il che è segno, o che non ebbe mai insieme rammarico veruno, o ch’egli era verso di loro sì condiscendente che cosa indegna stimava l’adirarsi contro di quelli ch’ei doveva amare. Nè cosi fece soltanto per dettame di natura (quandunque a questa tutti ubbidiamo), ma anche per lume di dottrina. Imperciocché avea egli troppo bene appresi i precetti de’ principali filosofi e gli metteva in pratica, non per ostentazione, ma per regola del suo vivere. XVIII. Fu ancora grande imitatore del costume dei maggiori, siccome dell’antichità amatore : della quale era 8i esattamente informato, che tutta intera la espose in nuel libro, ove onorò i magistrati. Imperciocché non vi ha legge, nè trattato di pace, nè guerra, nè cosa altra rimarchevole del popolo romano, che in esso non sia secondo i suoi rispettivi tempi registrata; e ciò che gli dovette riuscir più difficile, v'intrecciò l’origine delle famiglie per tal modo che quei libro ci basta per aver contezza deile genealogie degli uomini illustri. La qual fatica fece pure in altri libri separatamente; siccome ad istanza di M. Bruto annoverò per ordine la famiglia Giu- nia dalia sua prima origine sino a quest’età, notando di ciascuno il quando e da chi sia nato, quali cariche abbia avute, ed in qual tempo. Similmente a richiesta di Marcellio Claudio, scrisse della famiglia de’ Marcelli : ad istanza di Scipione Cornelio e di Fabio Massimo, illustrò le famiglie de’ Cornelii e de Fabii e degli Emilii ancora De’ quali libri non vi può esser cosa più gradita a coloro che si dilettano di aver notizia degli uomini insigni. Si applicò anche qualche poco alla poesia per non rimaner privo, cred’io, della dolcezza di quest'arte. Imperciocché espose in versi que’ Romani che per carica e per eccellenza di cose operate sopra gli altri, si segnalarono, per modo che sotto il ritratto di ciascuno descrisse in quattro versi o cinque ai più le loro gesta, ed i magistrati, essendo appena credibile che tante cose potessero si brevemente spiegarsi. Evvi altresì un libro da lui scrittp in greco sopra il consolato di Cicerone. XIX. Il nn qui detto è da me stato scritto vivente Attico. Ora, giacché la fortuna ha voluto ohe a lui sopravvivessi, verrò esponendo il restante; e per quanto mi sarà possibile , cogli esempli de’ fatti a’ leggitori farò tocca»