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Lilia Ippolito traeva una sola conclusione che lo esasperava: «Ella guarisce ed io no».

Ella guarisce! Ma lo aveva pure amato sinceramente, senza ipocrisie. Era venuta, lei, a offrirgli i tesori della sua bellezza, della sua intelligenza, di un amore quale non gli sarebbe stato permesso di sognare neppure nei più accesi delirî della fantasia; per lui si era eclissata dalla sua aureola di luce, dal suo trono dominatore; era venuta con lui a dividere la semplice vita della passione che null’altro chiede al mondo; regina di un dominio senza confini, aveva acconsentito a un tramutamento di tutte le sue abitudini per passare ignorata al suo fianco quattro mesi di oblìo completo. Quali promesse gli aveva fatte? Nessuna. Quale giuramento li legava, quale obbligo, quale fede? Lilia era stata franca, spontanea, generosa, leale. Davanti ad una onesta disamina dei fatti i suoi rimproveri vestivano una forma di ingordigia volgare che doveva dispiacere a lui stesso. Tutta la sua generosità d’uomo gli mostrava il dovere di una riconoscenza completa, senza recriminazioni e senza piagnistei. Egli doveva ringraziare l’Eletta che lo aveva beneficato dei suoi favori, chinare il capo e sparire, portando con sè la memoria indelebile delle gioie avute.

Ma com’era possibile ciò se egli l’amava disperatamente ancora? Ancora, mentre lei guari-