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230 Una giovinezza del secolo XIX


tuttavia l’impressione più violenta del maltempo l’ebbi quando, lasciandosi dietro la pianura lombarda, il treno entrò sbuffando fra le due pareti di roccia che formano la vallata della Scrivia.

Avevo avuto fino allora l’abitudine di fare quel viaggio nella stagione dei bagni, per cui uscendo dalla estiva fornace milanese tendevo ansiosa la gola riarsa al primo apparire della Scrivia, balzante di sasso in sasso, con una gaia promessa di frescura, e mi trovai invece in un deserto di neve, così triste e melanconico e desolatamente freddo, da agghiacciarmi quel po’ di calore che mi restava ancora nel sangue. Oh! come può la condizione del tempo cambiare siffattamente la fisionomia di un paesaggio? Dove erano più nei villaggi liguri le piccole case dipinte di rosa colle foglie di basilico messe ad asciugare sul tetto e le ghirlande di pomodoro appese ai balconi? La neve copriva, sfondava, inabissava tutto; e insieme alla neve un vento di burrasca schiantava gli alberi ululando.

Il peggio fu quando, discesa alla stazione di San Pier d’Arena, il controllore mi strappò di mano il biglietto spingendomi fuori con grande premura di serrare le vetrate, ed io, per prima cosa, mi trovai a non vederci più, perchè una