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Si trovavano all’uscio del tinello.

— Piena la chiesa.

E la signora Chiara entrò tirandosi dietro l’uscio.

Il tinello era modesto quale si conviene ad una buona famiglia borghese. La signora Chiara lo aveva abbellito con delle cortine all’uncinetto e dei cuscini a punto di calza; — bisognava esserle riconoscenti almeno per l'intenzione — non mancavano, potete immaginarlo, i veli da poltrona col solito turco a gambe aperte e il solito Chinese a braccia levate; c’era inoltre sulla finestra un così detto parafreddo fatto a pezzetti variopinti di calzoni usati e di panciotti smessi, ch’era un prodigio di pazienza e d’economia — l’ottima signora vi aveva lavorato attorno quattro mesi.

Una lucerna a petrolio, piede di bronzo e globo azzurro, rischiarava la mensa, ove un pezzo di manzo lessato fumava accanto un piatto di peperoni.

Nella prosa di questa cornice si disegnava abbastanza poetico il volto pensoso e taciturno di Pompeo.

Egli non mangiava.

Con un braccio penzoloni lungo la sedia, coll’altro fatto puntello al capo, l’occhio torvo, le labbra strette, il giovane avvocato sembrava assorto in profondi pensieri — non si diede nemmeno per inteso della comparsa di sua sorella.

— Ti ho fatto aspettare, non è vero? disse la signora