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un boccone in fretta, sedeva svogliato sul divano leggicchiando i giornali, poi li gettava via e accendeva lo sigaro.
— Mi accompagni questa sera a teatro? domandava Giulia colla sua più dolce vocina.
— Impossibile; ho un impegno.
— E il mio vestito nuovo?... e il palco che mi ha favorito la contessa A***?
— Ti manderò Roberto; fatti accompagnare da lui.
Giulia faceva una smorfietta, ma Olimpio non la guardava, e per troncare la quistione prendeva il suo cappello.
Giulia triste, malinconica avvilita si lasciava cadere nella sua poltroncina — mobile solitario e fido ove soleva passare quasi interi i suoi giorni.
Ma entrava Roberto, colmo il turibolo delle lodi d’Olimpio, e Giulia ricominciava a dubitare che il torto fosse suo; un marito cattivo le avrebbe proibito d’andare a teatro; mentre Olimpio, condiscendente, non potendo farle da cavaliere s’incaricava di procurarglielo.
In fondo la poveretta non si sentiva felice. Era libera, ricca, padrona di godere tutte le gioje che offre la società — superficialmente anche pareva amata — Olimpio la trattava con dolcezza, sfiorava distrattamente la sua fronte con un bacio, le stringeva la mano guardando altrove; ma Giulia incominciava a farsi donna