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Qui è il luogo di ricordare al lettore che Olimpio era stato per qualche settimana ospite di Roberto — nessuno dunque si farà meraviglia di vederlo installato nel modesto appartamento del pittore di cui aveva aperto l’uscio colla chiave che ancora conservava.
Mezzano di denaro (il signor Prospero era morto in buon punto), Olimpio si informò dell’ora che soleva venire la contessa; e in una bella mattinata d’aprile, mentre le prime rondini cinguettavano sui vetri, egli aspettava sdraiato sul verde divano che tante pene aveva costate al buon Roberto.
Non era inquieto — neppure impaziente. Calmo e sicuro arrotolava in un fogliolino di carta del tabacco spagnuolo, passando tratto tratto la mano nei capelli.
Il ritratto della contessa poggiava su un cavalletto circondato da fiori — egli lo guardò con indifferenza e si pose a sfogliare un album.
Quando il noto coupé si fermò davanti alla porta Olimpio si alzò.
Bello, imponente, coi biondi capelli sparsi ad arte sulla fronte serena — nobile nella posa — seducente nel sorriso, fece un passo verso l’uscio, che si schiudeva sotto la pressione di due dita delicate.
Réa rimase immobile sulla soglia.