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schiavi — volubile, spezzava il trastullo che non la divertiva più — ingrata, gettava la coppa dove non era più liquore.

Aveva la ferocia della tigre e la crudeltà della jena — ma quando sorrideva metteva in mostra dentini candidi e infantili, e non di rado la sua fronte pura come quella di una vergine si copriva di un ingenuo rossore.

Alla prima dichiarazione di Roberto aveva risposto ridendo — egli giurò di volersi ammazzare ed ella lo ammonì che se n’erano già ammazzati quattro, e che alla lunga la tragedia diventava nojosa.

Roberto allora la scongiurò di lasciarsi adorare. La contessa, in un momento di clemenza, gli rispose di mettersi in fila — e Roberto prese posto fra gli ultimi arrivati.

Le cose proseguirono a questo modo per dei mesi parecchi, con grande umiliazione del cavaliere e sempre nuovi trionfi della dama; finchè il marchesino Ipsilonne, reduce dal suo dodicesimo viaggio a Parigi, narrò gli scandali eleganti di una gran signora che s’era innamorata di un pittore e condì il romanzetto con tanti episodii piccanti e dettagli curiosi, che la contessa rimase vivamente impressionata.

Alla mattina seguente ordinò il suo piccolo coupé in un’ora così insolita che fece sbadigliare il cocchiere,