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Era una vita senza gioje, ma era una vita tranquilla; Giulia l’accettò senza mormorare, ed Olimpio pensò che non valeva la pena di occuparsi d’una donna che si sapeva adattare con tanto garbo all’oblìo.

Per acchetare i rimorsi, se mai ne avesse, teneva in pronto un discorsetto di questo genere:

— Mia moglie è fredda, non ha passione, non ha slancio; siamo agli antipodi l’uno dell’altra; è buona, è docile, ma è senza spirito affatto; non possiamo comprenderci assolutamente. Io le lascio piena libertà di fare quello che vuole, non le contrasto nulla, non la rimprovero mai — essa è felice, senza dubbio — ma io mi sacrifico. Questa vita insulsa non è fatta per me; ho bisogno di moto, di emozioni; per conservarle la dote mi sono ridotto a fare il contadino... Ah! è un po’ troppo — i miei doveri non arrivano fin là. Sono soverchiamente compiacente — Ed ella non capisce nulla! — non si commuove mai: sorride e ricama il suo canovaccio. È una donna insensibile, e credo di non sbagliare nel supporle una intelligenza limitatissima.

Forte di questi bei ragionamenti chiamava Max — il suo cane — e s’avviava all’osteria della luna.

Eravi colà un tenero cuore che palpitava per lui — un cuore ingenuo che balzava quando il suo passo sicuro faceva risuonare l’ammattonato, quando la sua