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bocca breve e malinconica che mal sapeva il riso, e il suo collo; quel collo di giovane ventenne che a Chiarina sembrava dovesse odorare come una mela.
Chiarina non sapeva perchè, ma nel rifare le camere arrivava sempre ansante a quella di Enzo ed era con una cura particolare, quasi con commozione che gli rassettava il letto: la stessa commozione che le faceva toccare tremante i suoi abiti, le sue cravatte; che la faceva leggere sui suoi quaderni tre, quattro, dieci volte di seguito: Enzo Firmiani scritto con un caratterino minuto sul quale le sue dita passavano e ripassavano leggermente a guisa di carezza.
E si fermava davanti a quei fogli attratta da una specie di magnetismo. I libri che egli leggeva le destavano un interesse particolare: si provava a leggerli essa pure e comprendendo poco diveniva triste, come se una montagna improvvisa sorgesse fra lei e il suo punto di vista luminoso. Si rifaceva allora umilmente all’ufficio di spolverare, di rassettare: ma anche in tali faccende metteva tanto ardore e tanto desiderio di essergli utile che gliene veniva una gioia continuamente dolce, come un