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Chiarina, che l’aveva sempre in tasca, mosse fuori dal cancello verso i pioppi.

— Dà a me la chiave.

— È inutile. Vengo anch’io.

— L’inutile è che debba venir tu — rispose lui, secco.

Chiarina finse di non udire.

Attraversarono il prato, passarono sotto i pioppi; giunti alla soglia ella mostrò coll’indice il cartello dell’appigionasi.

— Quanto l’hanno valutata?

— Tremila lire.

— Coi mobili?

— I mobili sono poca cosa, lo sai: forse nessuno li vorrebbe e per noi, invece, sarà tanto caro poterli conservare.

— Tremila lire, tremila lire — ripeteva Giuseppe infilando la scala del piano superiore. — E quando verranno queste tremila lire?

— Ma te l’ho detto che non sono nostre! Prima di tutto vi sono i debiti di nostro padre; poi tutti i prestiti del signor Firmiani.

— Belli i prestiti! abiti fuori d’uso e il resto del loro pranzo. Sac....

— Giuseppe, Giuseppe che dici mai? Tutta la nostra riconoscenza non basterà a