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La sua vita di donna giovane era finita per sempre. La trepida attesa, la palpitante speranza, quello stato delizioso di un cuore che si apre, che si dona, che si insalda in una fede non potevano più essere le sue gioie. Ella era stata la vergine folle che aveva lasciato spegnere la sua lampada. Nessuno l’avrebbe riaccesa mai più!

Tale persuasione intima e profonda le cresceva a poco a poco un abito di sottile mestizia non priva di nobiltà e per ciò solo sufficiente a pascere la sua anima di graduali ascensioni verso un concetto sempre più elevato della felicità umana.

Alla remissiva fiducia che avea riposto fino allora in Filippo le si veniva inavvertitamente sostituendo per un lungo lavorio occulto di trasformazioni e di sovrapposizioni il sentimento più fermo del proprio valore e dell’obbligo di fortificarlo con un esercizio di sorveglianza continua.

La creaturina che di lei e per lei viveva era come il nucleo delle nuove energie che salivano dalla coscienza di Minna a tutte le forme del suo pensiero sfaccettandolo di prismi meravigliosi e di insospettati acquietamenti.