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S’erano incontrati qualche volta il duca e Diana, o al teatro, o al ballo; si salutavano cortesemente senza parlarsi; lei impallidiva mentre il cuore le batteva a scoppiare, lui da uomo di mondo guardava subito dall’altra parte con grande disinvoltura. Allora per parecchi giorni Diana piangeva, si disperava da sola colla febbre nel sangue; la ferita si riapriva, era sempre la stessa, l’ideale infranto tornava ad ergersi inesorabile dinanzi a lei.

Un giorno il duca partì improvvisamente per un lungo viaggio all’estero, ed il conte Gastone di Spa chiese la mano di lei, in un momento di amarezza e di solitudine.

Era un gentiluomo perfetto, un cuore piccolo, egoista ed ambizioso; tendeva a salire senza affaticarsi, si sentiva abbastanza ricco da poterlo fare: spendeva tranquillamente il suo danaro, ed era deputato per la terza volta.

Diana aveva accettato, rimanendo parte passiva, erano passati due anni dell’abbandono del duca, ed il suo amore era intatto come il primo giorno. Alla vigilia del matrimonio la sposa aveva tolto da un cassettino molti mazzi di fiori che odoravano ancora, li aveva baciati, guardati a lungo, poi con un moto risoluto aveva gettato tutto sul fuoco: Sono d’un’altro! aveva detto semplicemente, compiendo quel sacrificio come un dovere.

I conti di Spa fecero un lunghissimo viaggio. di nozze, visitarono la Francia e la Germania, ciascuno trascinandosi seco il proprio fantasma,