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tarsi della sua cooperazione delittuosa nella intrapresa, e quindi del suo delitto.„

Fu in base a siffatte informazioni che alla polizia pervenivano da fonti impurissime, che il Ciantelli ordinò al commissario interno di Livorno perchè procedesse economicamente a carico del Guerrazzi. Eseguita in casa dell’illustre scrittore una perquisizione, fra le diverse carte, che quasi tutte si riferivano alla compilazione dell’Indicatore Livornese, la polizia mise la mano sopra una lettera di Giuseppe Mazzini, ma di data non recente, rimontando questa, secondo la stessa polizia, al 1829, quando il grande agitatore genovese non aveva ancora preso la via dell’esilio.

Ecco la lettera del Mazzini1:

Caro Amico,

„Vi sono grato per avermi procacciato la conoscenza di due giovani italiani, che mi dovevano riuscire interessanti perchè forniti a dovizia di cuore e di mente, e perchè avevano pochi dì innanzi favellato a lungo con l’amico mio. L’amicizia ch’io vi ho giurato è tale che ogni cosa venuta da voi non può riuscirmi se non carissima. Il sentimento che i vostri scritti e le vostre lettere mi hanno ispirato somiglia molto all’amore che accende in noi la bellezza; bellezza intendo non di forme soltanto, ma intima e profonda; frazione insomma di quella bellezza ch’è sparsa nelle cose della natura, ove il fiato ammorbatore delle umane belve o le istituzioni sociali non la guastino o non la annebbino. Il genio, l’armonia delle forme, la musica, ecc., mi paiono altrettante formole esprimenti l’idea del bello che vive nell’anima, ed io bacerei, parmi, Byron, Foscolo e voi con lo stesso affetto,

  1. Esiste in copia nell’Archivio Segreto. Una nota del segretario del Buon Governo informa che l’originale, dietro richiesta dello stesso Granduca, fu rimesso a palazzo Pitti, in occasione della dimora a Firenze di Giuditta Bellerio, la formosissima donna che il Mazzini, sullo scorcio del 1833, mandò in Toscana a scopo politico come narrammo in uno dei precedenti capitoli di quest’opera.