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Di un agro dolce e di un dolce agro misto.
Ma in corpo ha l’anime dure come osso
Direste che sien Nespole, ma in capo
Non lo fregia l’onor della corona,
Nè di mantel ferrigno si colora,
Nè fa vedervi mai l’insito cono
Dal calicino alquanto prominente.
Ed altri Lazzeruoli, oh strano invero!
Traverso a l’ire de’ commossi flutti,
Ci manda pur la Cipriotta Pafo.
E Genova, regina d’ogni mare,
C’invia le piante che da lei divelte
Fur dalle cime del nevoso Atlante,
O da la valle degli Aranci colse
In Etïopia, e ai lari suoi portò,
Vaghi, fiammanti, lucidi come oro.
A grave stento superati i guadi
Del mar glacciale, cariconne i dorsi
De’ muli avvezzi a trasportar le merci.
Vergognosi si ascondano i pometi
Del re Feaco Alcinoo; son favole
Quelli a cui veglia soprastette un drago;
I mei son veri, ed una ciancia quelli.
Non d’una sola d’altri climi stirpe
Vantar si ponno: Esperidi fur tutte.
Ma noi... noi sì; dal vasto mar dai monti,
Da campi e selve, da laghi, da fiumi,
Le abbiam cercate e col natío lor suolo
Costà nel grembo all’isoletta nostra
Le consegnammo: e non c’è ladro astuto
Che insidiar le possa: ai lor ma’ passi
Si oppongono ampie fosse, e se talento