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DESCRIZIONE DELL’ISOLA DELLA MIRANDOLA

DI GIO. FRANCESCO PICO


Gio. Francesco Pico al Figliuolo suo, Salute.

A dì passati mi giacea infermo; e, per non stare oziando, presi a cantare circa dugento elegiaci. Perocchè il soggetto, cui dava opera a descrivere, essendo assai minuto ed umile, non mi consentiva la maestà del verso eroico. Io avea formata, con spesa non piccola, un’isola a presidio del castello e della terra della Mirandola, e, a trovar sollievo tra i travagli, l’avea piantata d’erbe e di fiori, e l’avea ornata con portici e con sedili. Non potendo godere di tali cose, per cagione della malattia, applicai a presentarmele colle sue immagini per mezzo di un carme, e poscia, per quanto le forze me lo ebbero consentito, espressi in versi le cagioni che mi aveano indotto ad innalzarla e ad usare di lei. Io te li spedisco, e, per essi, più facilmente sarai allettato a visitare l’isola, dacchè tante volte m’hai già defraudato nelle tue promesse; temendo non poco, che a te pure avvenga, ciò che a molti suole accadere, che, mentre sprezzano i pesciolini già presi nel lido per andar dietro a’ grossi, essi medesimi si affidano poi a’ flutti a loro rovina. Nella state trascorsa non ho posto in luce nè un inno nè un verso. Io sono stato così inteso a risolvere tutte le questioni sulla podestà ecclesiastica per mezzo di quarantadue teoremi, che ho vissuto poco men che dimentico di me medesimo. Non devi meravigliarti perciò se non consegnai ai procácci, siccome son uso, nuovi inni al tuo indirizzo. Addio.