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capitolo quarto. | 87 |
La loro avversione per la carne della bestia sudicia porta all’incontro quel carattere particolare, simile ad una istintiva antipatia, che l’idea di sporcizia, quando sia penetrata ben addentro nei sentimenti, sembra eccitar sempre anche in quelli le cui abitudini personali non sono affatto di una proprietà scrupolosa. Il sentimento dell’impurità religiosa, così vivo presso gl’Indiani, ne è un notevole esempio.
Supponete ora che in un popolo in cui la maggioranza musulmana, questa maggioranza voglia proibire, in tutto il paese, che si mangi carne di majale: non vi è in questo nulla di nuovo per paesi maomettani1. Sarebbe un esercitare legittimamente l’autorità morale dell’opinione pubblica? No, dite voi: e perchè no? Questo costume è realmente disgustante per un tal pubblico: esso crede sinceramente che Dio lo proibisca e lo aborra. Non si potrebbe d’altro canto biasimare questo divieto come una persecuzione religiosa: sarà religioso nell’origine, ma non è una persecuzione per causa religiosa, perchè nessuna religione obbliga a mangiar carne di majale. Il solo motivo sostenibile per condannare un tal divieto sarebbe questo: il pubblico non ha nulla che vedere nei gusti e negli interessi personali degli individui.
Per parlar di cose a noi più vicine, la maggioranza degli Spagnuoli considera una grossolana empietà e la più grave offesa verso l’Essere Supremo il tributargli un culto che non sia quello dei cattolici romani, e sul suolo di Spagna non v’è altro culto tollerato. Per tutti i popoli del mezzogiorno d’Europa, un clero ammogliato è non soltanto irreligioso, ma impudico, indecente, rozzo, disgustante. Che cosa pensano i protestanti di questi sentimenti perfettamente sinceri e dei tentativi fatti per applicarli con ogni rigore a quelli che non sono cattolici?
Tuttavia, se gli uomini possono vicendevolmente turbare la propria libertà nelle cose che non toccano gli interessi degli altri, per quali principi si può logicamente escluderne
- ↑ Il caso dei Parsi di Bombay è un curioso esempio di questo fatto. Quando questa tribù industriosa e intraprendente, che discendeva dai Persiani, adoratori del fuoco, abbandonando il proprio paese all’invasione musulmana, arrivò nell’ovest dell’India, vi fu tollerata dai principi indiani a patto di non mangiare carne di bue. Quando, in seguito, queste regioni caddero sotto il dominio dei conquistatori maomettani, í Parsi ottennero che la tolleranza continuasse a patto di astenersi dalla carne di majale. Ciò che in origine era sommessione divenne una seconda natura; e i Parsi non mangiano, neppur oggi, nè carne di bue, nè carne di majale. Sebbene la loro religione non lo esiga, la doppia astinenza ha avuto il tempo di entrare nei costumi della loro tribù, e in Oriente il costume è una religione.