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86 la libertà


E il gusto di una persona è sua stretta proprietà appunto come la sua opinione o la sua borsa. È facile imaginare un pubblico ideale che lasci tranquilla la libertà e la scelta degl’individui per ogni cosa incerta, esigendo soltanto che si astengano da quei modi di comportarsi che l’universale esperienza ha condannati: ma dove si è veduto un pubblico porre tali limiti alla sus censura? Oppure, quando mai il pubblico si cura dell’esperienza universale? Il pubblico, intervenendo nella condotta personale pensa raramente ad altro fuor che all’enormità che vi è nel pensare ed agire diversamente da lui; e questo criterio appena mascherato, è presentato alla specie umana come il precetto della religione e della filosofia, dai nove decimi degli scrittori moralisti e speculativi. Essi c’insegnano che le cose sono giuste perchè sono giuste, perchè noi sentiamo che lo sono; ci dicono di cercare nel nostro spirito o nel nostro cuore le leggi di condotta che ci obbligano e verso noi stessi e verso gli altri. Che cosa può fare il povero pubblico, più di applicare questi insegnamenti e rendere obbligatori per tutti i suoi sentimenti personali di bene o di male, quando essi sono abbastanza unanimi?

Il male che qui si addita non esiste soltanto in teoria, e il lettore attende forse che io citi i casi particolari in cui il pubblico di questo secolo o di questo paese dà, a torto, il carattere di legge morale ai suoi capricci. Io non iscrivo un saggio sulle attuali aberrazioni del senso morale: ed è questo un soggetto troppo importante per essere discusso tra parentesi e come esempio illustrativo; non di meno sono necessari degli esempi per dimostrare che il principio da me sostenuto ha una seria importanza pratica e che io non cerco di far sorgere ostacoli contro mali imaginari. Non è difficile provare con esempi numerosi che una delle più universali tendenze della umanità è d’estendere i limiti di ciò che si può chiamare la polizia morale fino al punto in cui essa invade il campo delle libertà più sicuramente legittime dell’individuo.

Come primo esempio, vedete le antipatie che gli uomini nutrono a proposito di un motivo tanto frivolo come la differenza delle pratiche e sopratutto delle astinenze religiose. Per citare un caso un po’ triviale, nulla nella credenza o nel culto dei cristiani attizza di più l’odio dei musulmani contro di loro che il vederli mangiar carne di majale; poche azioni sono più antipatiche ai cristiani ed agli europei, di quello che questo modo di nutrirsi sia ai maomettani. E, prima di tutto, un’offesa verso la loro religione; ma questa circostanza non ispiega punto il grado o la forma della loro ripugnanza: perche il vino è pure proibito dalla loro religione, e, sebbene i musulmani trovino biasimevole bere del vino, non ne sono affatto disgustati.