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capitolo quarto. | 81 |
proprio della parola, e, per quanto eccedano, non costituiscono la malvagità. Questi difetti possono provare la sciocchezza o una mancanza di dignità personale o di rispetto di sè stesso, ma non sono soggetti a biasimo se non quando importano un oblio dei nostri doveri verso gli altri, pel bene dei quali l’individuo è obbligato ad aver cura di se stesso. Ciò che si chiama dovere verso noi stessi, non costituisce una obbligazione sociale, a meno che le circostanze non ne facciano un dovere verso gli altri; la espressione dovere verso sè stesso, quando significa qualcosa di più che prudenza, significa rispetto o sviluppo di sè stesso; e nessuno deve, in questo argomento, render conto ai suoi simili, perchè essi non vi sono interessati.
La distinzione tra il discredito a cui una persona giustamente si espone, ove gli manchi la prudenza o la dignità personale, e il rimprovero che le è dovuto per aver attentato ai diritti degli altri, non è puramente nominale: c’è una gran differenza e nei nostri sentimenti e nella nostra condotta verso una persona, a seconda ch’essa ne spiace nelle cose in cui noi riteniamo di potere a buon diritto controllarla o nelle cose in cui sappiamo di non avere tale diritto. Se essa ci spiace, noi possiamo esprimere la nostra antipatia e tenerci fontani da un essere come ci terremmo da una cosa che non ci garba; ma non ci sentiremo per questo in dovere di renderle dolorosa la vita: noi penseremo ch’essa sopporta già o sopporterà ben presto la pena del suo errore. Se essa si rovina la vita per un difetto di condotta, noi non desidereremo, proprio per questo, di rovinargliela anche di più: lungi dall’invocare sul suo capo una punizione, noi tenteremo piuttosto di alleviare l’espiazione che per essa incomincia, mostrandole il mezzo d’evitare o di guarire i mali che la sua condotta le sta per cagionare. Questa persona insomma può essere per noi oggetto di pietà o anche d’avversione, ma non d’irritazione o di risentimento: noi non la tratteremo come un nemico della società; il più che ci crederemo lecito commettere a suo riguardo sarà d’abbandonarla a sè stessa; se pure non interverremo con benevolenza, additandole i mezzi di guarire i mali ch’essa si è attirata con la sua condotta sregolata. Ma è tutto il contrario se questa persona abbia infrante le regole stabilite per la protezione, individuale o collettiva, dei suoi simili: allora le conseguenze funeste delle sue azioni ricadono non su di essa, ma sugli altri, e la società come protettrice di tutti i suoi membri deve reagire sul colpevole, infliggergli un castigo, e un castigo abbastanza severo, coll’intenzione espressa di punire. In un caso, la persona è un colpevole chiamato a comparire davanti al nostro tribunale: e noi siamo incaricati non solo di giudicarlo, ma anche di eseguire, in un modo o nell’al-