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atto secondo | 91 |
conceduto l’arbitrio, in Tiridate
sol ritrovato avrei
chi rendesse felici i giorni miei.
Ma questo esser non può. Da te per sempre
mi divide il destin. Piega la fronte
al decreto fatal. Vattene in pace,
ed in pace mi lascia. Agli occhi miei
non offrirti mai piú. Sí gran periglio
alla nostra virtú, prence, si tolga.
Questa giá ci legò; questa ci sciolga.
Tiridate. Assistetemi, o dèi! Dunque io non deggio
mai piú sperar...
Zenobia. Che piú sperar non hai.
Tiridate. Ma perché? Ma chi mai
t’invola a me? Qual fallo mio...
Zenobia. Non giova
questo esame penoso
che a sollevar gli affetti nostri; e noi
soggiogarli dobbiamo. Addio. Giá troppo
mi trattenni con te. Non è tua colpa
la cagion che ne parte, o colpa mia:
questo ti basti, e non cercar qual sia.
Tiridate. Barbara! e puoi con tanta
tranquillitá parlar cosí? Non sai
che ’l mio ben, la mia pace,
la mia vita sei tu? che, s’io ti perdo,
tutto manca per me? che non ebb’io
altro oggetto finor...
Zenobia. (vuol partire) Principe, addio.
Tiridate. Ma spiegami...
Zenobia. Non posso.
Tiridate. Ascoltami.
Zenobia. Non deggio.
Tiridate. Odiarmi tanto!
fuggir dagli occhi miei!