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76 xvii - zenobia


SCENA III

Vastissima campagna irrigata dal fiume Arasse, sparsa da un lato di capanne pastorali, e terminata dall’altro dalle falde d’amenissime montagne. A pié della piú vicina di queste comparisce l’ingresso di rustica grotta, tutto d’edera e di spini ingombrato. Vedesi in lontano, di lá dal fiume, la real cittá di Artassata, con magnifico ponte che vi conduce, e sulle rive opposte l’esercito parto attendato.

Zenobia ed Egle da una capanna.

Zenobia. Non tentar di seguirmi:

soffrir nol deggio, Egle amorosa. Io vado
fuggitiva, raminga; e chi sa dove
può guidarmi il destin? Se de’ miei rischi
te conducessi a parte, al tuo bel core
troppo ingrata sarei. Facesti assai:
basta cosí. Due volte
vivo per te. La tua pietá mi trasse
fuor del rapido Arasse; il sen trafitto
per tua cura sanò; dolce ricetto
mi fu la tua capanna; e tu mi fosti
consolatrice, amica,
consigliera e compagna. Io, nel lasciarti,
perdo assai piú di te. Non lo vorrei;
ma non basta il voler. Presso al cadente
padre te arresta il tuo dovere, e in traccia
me del perduto sposo affretta il mio.
Facciamo entrambe il dover nostro. Addio.
Egle. Ma sola e senza guida
per queste selve... Il tuo coraggio ammiro.
Zenobia. Non è nuovo per me. Fanciulla appresi
le sventure a soffrir. Tre lustri or sono
che l’Armenia ribelle un’altra volta
a fuggir ne costrinse; e allor perdei