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atto secondo | 37 |
giá forse il re dove adunati sono
il popolo e le schiere. A tutti in faccia,
consegnarlo vorrá. Pensa qual resti
arbitrio a me.
Aspasia. Tutto, se vuoi. Concedi
che una fuga segreta...
Lisimaco. Ah! che mi chiedi?
Aspasia. Chiedo da un vero amante
una prova d’amor. Non puoi scusarti.
Lisimaco. Oh Dio! fui cittadin prima d’amarti.
Aspasia. Ed obbliga tal nome
d’un innocente a procurar lo scempio?
Lisimaco. Io non lo bramo: il mio dovere adempio.
Aspasia. E ben, facciamo entrambi
dunque il nostro dovere: anch’io lo faccio.
Addio.
Lisimaco. Dove t’affretti?
Aspasia. A Serse in braccio.
Lisimaco. Come!
Aspasia. Egli m’ama, e ch’io soccorra un padre
ogni ragion consiglia.
Anch’io prima d’amarti ero giá figlia.
Lisimaco. Senti. Ah! non dare al mondo
questo d’infedeltá barbaro esempio.
Aspasia. Sieguo il tuo stile: il mio dovere adempio.
Lisimaco. Ma sí poco ti costa...
Aspasia. Mi costa poco? Ah, sconoscente! Or sappi
per tuo rossor che, se consegna il padre,
Serse me vuol punir. Mandò poc’anzi
il trono ad offerirmi, e questa, a cui
nulla costa il lasciarti in abbandono,
per non lasciarti ha ricusato il trono.
Lisimaco. Che dici, anima mia!
Aspasia. Tutto non dissi:
senti, crudel. Mille ragioni, il sai,